Sicilia, la culla del grano

Per millenni il grano è stato il credo religioso della civiltà agricola siciliana, il frutto da cui èdipesa la sopravvivenza di intere comunità. Lo testimoniano i ruderi dei mulini a ridosso dei corsi d’acqua sparsi in tutta l’Isola, le feste religiose e i resti archeologici che rimandandoal Ratto di Kore o Proserpina, il celebre mito agrario che colloca – non a caso – la tragica vicenda sulle rive del lago di Pergusa.

Come racconta la leggenda, la fanciulla dalle belle caviglie figlia di Demetra, dea della fertilitàe delle messi, viene rapita da Ade, re degli inferi, costretta ad essere sua sposa e a fare ritorno sulla terra solo per sei mesi l’anno. La storia non spiega solo l’evolversi della vita attraverso il ciclo delle stagioni ma soprattutto ci dice come la Sicilia fosse conclamata giàallora culla del grano.  Grazie alla coltivazione del grano la Sicilia, in epoca romana, ebbe un ruolo centrale all’interno dell’Impero, diventando una delle province piùricche. Così, scriveva Catone il Censore, “nutrito”.

Al grano duro èlegato un primato dell’Isola noto a pochi. La pasta secca, simbolo della dieta Mediterranea, èstata inventata intorno al 1100 a pochi chilometri da Palermo. Fino ad allora si produceva e si consumava pasta fresca, mentre quella secca, ottenuta dal “durum”, nacque dallanecessità di conservare la qualitàdel prodotto nelle lunghe rotte commerciali. A Trabia una piccola industria dell’epoca si ingegnòmettendo a punto un sistema di essiccazione rivoluzionario e riuscìcosìa rendere la pasta adatta al trasporto.

Immense distese di spighe alte e dorate, nelle valli e sulle colline: cosìdeve essere stato ilpaesaggio siciliano dell’antichità. Un mosaico di varietàdi grano, frutto dell’adattamento del seme alla complessitàdegli habitat, purtroppo dissolto in epoca piùrecente.  Negli ultimi tempi, grazie alla concessione dei semi ad alcuni contadini, si èattivata una filiera corta virtuosa e finalmente si assiste al ritorno nei campi di varietàestinte. Russello, Majorca, Perciasacchi, Bidì, Biancolilla, Tumminia, Simeto sono solo alcuni dei grani antichi che si trovano attualmente in commercio e moliti a pietra. La molitura a pietra rimane l’unico processo che preserva il cuore nobile del chicco. Il metodo di trasformazione ancestrale, praticato oramai solo da pochi mugnai, preserva la struttura nobile del grano e le sue proprietàorganolettiche.

Nutrirsi di grani autoctoni fa bene alla salute e significa riscoprire sapori perduti. Recenti ricerche, tra cui quelle condotte dal Consorzio Ballatore, affermano che il grano duro siciliano èaltamente digeribile perché ha un indice di glutine nettamente inferiore rispetto ad altri grani. Il grano duro siciliano haun basso indice glicemico e resiste meglio agli attacchi di specie di funghi che producono micotossine tossiche e cancerogene per il nostro organismo.

Manuela Laiaconagiornalista 

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